Giuseppe Romeo. Il sommelier della carne.

Operaio chimico da sempre appassionato di cucina, e in particolare modo di carne, ha approfittato di una nuova casa con giardino per dedicarsi alle grigliate, una delle pratiche culinarie che affonda le proprie radici nel nuovo continente, ma che oggi, anche grazie al suo contributo, interessa sempre più allevatori, macellai, ristoratori, cultori e consumatori italiani.

Stiamo parlando di Giuseppe Romeo, definito da molti esperti e critici come il sommelier della carne. Un vero e proprio punto di riferimento in questo ambito, che abbiamo voluto incontrare per scoprire di più rispetto a un mondo in continua evoluzione, che coinvolge e appassiona anche CIAM e la sua tecnologia.

Gli esordi e la passione per il lombo.

È partito tutto dalla mia voglia di imparare, dal desiderio di approfondire la mia conoscenza rispetto al mondo della carne, specificatamente legata al lombo e alle bistecche, un ambito per il quale i principali referenti sono da sempre gli americani, con i loro magnifici barbecue. A quei tempi – stiamo parlando del 2015-2016 – in Italia c’era solo un ristoratore, Roberto Pintadu, a Villanova d’Asti, che avesse impostato il suo locale sulle bistecche e che, soprattutto, avesse nel suo ristorante un armadio dry ager, ovvero una cella dedicata alla frollatura della carne. Andai a trovarlo e da lì prese il via una nuova fase della mia vita. Quest’incontro mi permise di provare una bistecca frollata a 90 giorni che mi restituì subito un sapore più intenso, più elaborato rispetto alla carne che ero abituato a mangiare: fu una vera e propria folgorazione.

Ho quindi continuato il mio percorso d’informazione approfondendo le mie conoscenze proprio rispetto al processo della frollatura del lombo, e l’ho fatto andando a trovare personalmente ristoratori, macellai e allevatori, in giro per l’Italia. Un’esperienza che ha dato molto a me a livello personale ma che ha offerto anche l’occasione di incontri, confronti e approfondimenti che hanno sicuramente incrementato e intensificato le conoscenze in questo ambito anche a livello italiano: a partire da quegli anni, infatti, siamo cresciuti esponenzialmente in termini di sapere, tecnica e passione condivisa.

La maturazione della carne, un approccio che fa la differenza.

Da qualche tempo, c’è stato un vero e proprio exploit della carne frollata, un interesse che ha rappresentato sicuramente una moda, una novità che tutti hanno voluto seguire e provare. La realtà è che, quando si parla di frollatura, c’è ancora oggi un po’ di confusione sia in termini di significato che di processo. In generale, non si tratta di qualcosa che alcuni macellai operano e altri no: almeno per venti-trenta giorni, tutta la carne viene frollata, la differenza la fa l’obiettivo e il lavoro del macellaio, perché è ovvio che non tutti sono disposti a tenere la carne ferma in una cella per lunghi periodi – in quanto significherebbe non poterla vendere -, e questo spiega anche perché una carne frollata a più di 30 giorni abbia un costo diverso da altra carne.

Fondamentalmente, frollare significa accompagnare la carne durante il suo processo di asciugatura, un processo con cui si ottiene sia un calo di peso della carne stessa che la sua ossidazione. Chi opera nell’ambito della frollatura va a ricercare una certa tipologia di sapori. Personalmente, sono stato sempre affascinato dall’evoluzione sensoriale legata alle diverse fasi della maturazione della carne, anche per questo preferisco utilizzare il termine maturazione piuttosto che frollatura. La maturazione permette alla carne di vivere un’evoluzione dei sapori e per questo c’è bisogno di un approccio che presuppone un processo che partendo da un’umidità e da una temperatura calde, vada ad abbassarle gradualmente.

Anche la tecnologia è importante, perché non si può pensare, ad esempio, di mettere in un unico armadio delle carni che stanno attraversando diverse fasi della propria maturazione: la conseguenza è quella di andare a squilibrare l’ambiente conservativo e alterare i livelli di umidità e temperatura che, come già anticipato, non possono essere stabili, ma variano a seconda delle diverse e graduali fasi dell’asciugatura e dell’ossidazione della carne.

La ricerca della maturazione perfetta.

Guardando al panorama italiano, ma anche europeo, dal mio punto di vista ci sono tre soggetti che sanno davvero gestire questo processo con abilità e conoscenza: due si trovano in Italia, Sergio Motta, un macellaio di Inzago, e Francesco Camassa, di Grottaglie, il terzo è il macellaio stellato belga Hendrik Dierendonck. In ognuno di questi casi, l’accompagnamento della carne nel suo processo di asciugatura viene rispettato con grande rigore.

Tutti utilizzano più celle, nello specifico tre, impostate in maniera diversa in modo da seguire le diverse fasi della maturazione della carne sia in termini di umidità che di temperatura. Si parte da una prima cella in cui la carne ancora fresca entra con determinati livelli di temperatura e umidità, si passa quindi a una cella intermedia con impostazioni diverse rispetto a quelle della prima, e infine si passa alla fase di affinamento, mantenimento, quella in cui avviene proprio l’evoluzione sensoriale.

Addirittura, Hendrik Dierendonck è riuscito a creare per questa terza cella una camera dinamica, qualcosa di veramente innovativo che è stata addirittura messa a punto in collaborazione con un’università belga, dove temperatura, umidità e ventilazione oscillano in base al tempo. Ad esempio, si può decidere di avere una temperatura intorno ai 6-7º per trenta secondi e poi scendere intorno allo zero per un minuto, allo stesso modo anche la ventilazione e l’umidità possono variare.

Gli artigiani della carne.

Trovo che la denominazione “macellaio” sia poco valorizzante rispetto al lavoro che svolgono questi professionisti ogni giorno, innanzitutto perché è un termine spesso associato alla cronaca nera, così come la parola “macello” nella nostra lingua può significare qualcosa di problematico, per cui personalmente tendo a non utilizzarli in quanto distolgono dall’essenza stessa del lavoro che viene compiuto sulla carne e sull’animale. Il macellaio veramente bravo per me è un artigiano della carne perché tende a valorizzare tutto dell’animale, dal naso alla coda, riuscendo a venderlo.

Anche il termine “macellato”, che si trova in tutte le etichette, è un termine che io ho ormai sostituito con la parola “sacrificato”, mutuandola dalla terminologia di riferimento spagnola. In generale, ritengo che sia il benessere dell’animale in vita a fare la differenza e a dare qualità alla carne che si lavora e si vende. La direzione giusta per un bravo artigiano della carne, così come per un ristoratore, è quella di scegliere una specie, una tipologia di carne da trattare, e stabilire dei contatti diretti con gli allevatori. In questo mondo, per distinguersi è necessario sposare una filosofia che parta proprio dalla terra, dalla stalla, e vivere qualcosa che permetta di vedere con i propri occhi quello che sta alla base del benessere dell’animale e, di conseguenza, delle qualità organolettiche e sensoriali della carne. In questo senso, sono quattro le macro aree che determinano le caratteristiche della carne che mangiamo: la sua alimentazione, il microclima, l’età e lo stile di allevamento.

Un animale che viene sacrificato per nutrirci è una vita che viene spezzata, ed è proprio questo a cui tengono moltissimo tutte le realtà che oggi in Italia operano con una certa garanzia di qualità. Se andiamo a conoscerle da vicino ci renderemmo conto che tutti i loro animali seguono un’alimentazione corretta e vivono prevalentemente liberi, non in un box, perché è il benessere dell’animale quello che ritroviamo nei nostri piatti.