Matteo Gentili. Quando il design è polivalente.

Neoclassicismo e flessibilità. Tradizione ed evoluzione. Made in Italy e scenari internazionali. Ma soprattutto il cliente. Abbiamo incontrato Matteo Gentili, dello studio di architettura e design Casa&Casa di Dubai, e con lui abbiamo viaggiato nel Middle East, attraverso incontri e progetti, collaborazioni e visioni che esprimono la sua idea di design polivalente e tailor made.

Laureato in Design urbano e paesaggistico all’Università La Sapienza di Roma, con un Master in Interior Design conseguito allo IED di Roma, e uno in Landscape all’Università di Maimi, nel 2009 Matteo Gentili si trasferisce in Egitto dove per due anni intraprende diversi progetti di design, tra cui molteplici residenze private e spazi commerciali al Cairo e ad Alessandria, oltre allo sviluppo di varie tipologie di suite alberghiere per il resort Faraana Reef Resort, a Sharm el Sheikh. Nel 2011 torna a Roma per apportare il suo know how all’impresa edile di famiglia, migliorandone i processi e l’efficienza. Ma la pausa italiana durerà poco: nel 2013, Matteo Gentili torna all’estero e questa volta sceglie Dubai.

Matteo, perché il Cairo come luogo in cui vivere i suoi primi anni professionali, e Dubai quale base attuale?

Avendo seguito un corso internazionale all’università, fin da ragazzo sono stato circondato da amici e compagni di diverse nazionalità, e in effetti entrambe queste destinazioni hanno avuto in comune un mio ex compagno egiziano, con il quale passavo la maggior parte del mio tempo universitario, un amico che ho voluto seguire anche una volta terminati gli studi romani. Con lui abbiamo aperto uno studio di design con sede al Cairo: un’esperienza durata due anni, durante i quali non ho avuto solo l’opportunità di mettermi alla prova con la mia professione in termini di retail, spazi pubblici e residenziali, ma anche di conoscere a fondo paesi come l’Egitto, il Marocco, la Libia, gli Emirati Arabi, insomma, ho imparato a parlare l’arabo e ho ampliato notevolmente il mio network a livello internazionale. Dopo il Cairo, sono rientrato a Roma per seguire il business di famiglia ma nove anni fa, è bastato un contatto da parte del mio vecchio socio egiziano, che nel frattempo si era trasferito a Dubai, per riprendere il volo, con l’obiettivo di realizzare questa volta un importante progetto privato per un cliente indiano. Da lì, il passo è stato breve e mi sono trasferito fino a diventare, nel 2019, socio dello studio Casa&Casa, nato nel 2010, per il quale opero tutt’oggi. In generale, ho la consapevolezza che in questi luoghi, soprattutto nel Middle East, il valore del lavoro degli architetti e dei designer italiani sia molto più apprezzato che in patria. Vivere e lavorare in una parte di mondo dove il mondo è praticamente presente a 360° consente di aprire la mente e mettersi in gioco: ed è così che ho avuto modo di esprimere e manifestare il mio talento. Purtroppo, ho la convinzione che in Italia non avrei mai potuto realizzare alcuni dei progetti che invece hanno visto la luce a Dubai.

Com’è cambiata, se è cambiata, la sua idea di interior deisgn negli anni e, soprattutto, quanto hanno influito le esperienze internazionali sul suo stile?

Hanno influito nel senso che a Dubai, ad esempio, si può lavorare con clienti provenienti da tutto il mondo, non solo quello arabo: i miei committenti sono indiani, russi, europei, il che mi ha permesso di concentrarmi sempre di più sulla flessibilità creativa e su quella legata alla progettazione, rendendo estremamente versatile e custom il mio lavoro. Personalmente, mi definisco un architetto polivalente, in quanto credo che il ruolo di un designer sia quello di interpretare i desideri e le esigenze di ogni cliente, cercando di adattarli al meglio al progetto e agli spazi. Non c’è uno stile che prediligo, anche se da italiano, e romano, mi sento piuttosto legato a quello neoclassico: un elemento che torna spesso nel mio lavoro. In ogni modo, in quest’area geografica del mondo il fatto di non avere un approccio personale rappresenta un valore aggiunto, perché ogni cliente desidera esprimere il proprio gusto e il proprio stile, spesso determinati o in parte condizionati dalla cultura a cui si appartiene, quindi sono la capacità di saper interpretare e sapersi calare in un contesto ogni volta diverso a fare la differenza. E in questo credo che io e CIAM siamo simili.

A proposito di CIAM: dalla catena di pasticceria Pompi, a Roma, fino a Pavlova, per cui ha firmato il caffè situato all’interno del Dubai Mall, la tecnologia e il design CIAM sono presenti. Che cosa apprezza in un’azienda di refrigeration design?

La realizzazione degli spazi della catena Pompi è stata l’occasione per incontrare per la prima volta CIAM, a cui sono arrivato attraverso l’account manager del Lazio, Paolo Scopetti: una vera scoperta, che ha soddisfatto e superato le mie aspettative. È nata fin da subito una profonda ammirazione nei confronti del suo prodotto e della sua tecnologia, che sono andato a conoscere in prima persona perché per me vedere da vicino e toccare con mano ciò che propongo è fondamentale, e proporre CIAM alla catena Pompi prima, e a Pavlova poi, è stato qualcosa che ha apportato valore a entrambi i progetti. Cosa ho apprezzato e cosa apprezzo tutt’ora è piuttosto evidente: credo, infatti, che per qualità del prodotto, tecnologia, post vendita e capacità di cucire perfettamente i progetti sulle esigenze del cliente, CIAM non abbia eguali, e lo dimostra il fatto che ormai stia lavorando su scenari internazionali importanti, conseguendo ottimi risultati. Un’azienda evoluta nelle competenze e nell’innovazione tecnologica, che ha saputo mantenere la stessa affidabilità, creatività e passione di una piccola azienda famigliare, il che la rende particolarmente vicina a ogni cliente.

Parlando di evoluzioni, quali sono i focus, gli strumenti, i linguaggi che a suo avviso esprimono la direzione – o le direzioni – del design internazionale, da qui ai prossimi 10 anni?

La contemporaneità, intesa nella sua accezione di minimalismo più estremo, è in continua evoluzione. Penso sia difficile prevedere le direzioni che prenderà da qui al prossimo futuro: quello che oggi è inteso come moderno tra cinque anni potrebbe essere anche estinto in termini di gusto. Invece, a mio avviso, quello che non cambierà mai, e resterà la base su cui andare a proporre nuove soluzioni e nuovi approcci, sono alcuni elementi propri dell’architettura classica italiana. Le linee eterne, come le chiamo io: dal Colosseo al Pantheon ci sono dettagli, decori, così come elementi architettonici che non muoiono mai, e che possono essere reinterpretati in chiave contemporanea e moderna, anche grazie al contributo di nuovi materiali, risultato della continua ricerca e innovazione tecnologica che segnano lo scenario attuale e che sicuramente evolveranno nel futuro.