Intervista a Luca Gardini
Da ventisette anni lavora e si esprime come sommelier, ma non è un sommelier qualsiasi. Piuttosto è il più famoso sommelier al mondo. Abbiamo intervistato Luca Gardini, enfant prodige che ha saputo conquistare il Gotha della ristorazione italiana, ma anche colui che ha rivoluzionato il modo di raccontare il vino attraverso un approccio contemporaneo e trasversale che unisce una comunicazione semplice e diretta alla leggerezza, alla condivisione e al piacere che da sempre gli appartengono.
La cultura del vino italiano nel mondo. Stato dell’arte.
— In Italia siamo fortunati perché ormai da anni ci collochiamo, insieme a Francia e Spagna, tra i primi paesi in cui il vino è protagonista per produzione, consumo e critica. Se parliamo di punti di forza del vino italiano nel panorama internazionale, ne abbiamo almeno due. Il primo è che siamo una nazione molto versatile, con la più grande concentrazione di vitigni autoctoni e una regionalità che ci porta a una varietà di produzioni locali che è unica. Pensiamo alle aree iconiche che abbiamo: Chianti, Barolo, Montalcino, per parlare delle più storiche, ma anche a un’area più giovane come quella dell’Etna, che sta conquistando mercati e palati di tutti i gusti.
Il secondo è senz’altro determinato dal rapporto qualità-prezzo che offriamo. In Francia per bere bene si spende abbastanza, per non dire molto. In Italia abbiamo vini che permettono di bere bene spendendo il giusto. Prendiamo Vino Pop, un evento al quale partecipo ormai da anni, che presenta e premia i migliori cinquanta vini il cui prezzo di mercato è sotto i quindici euro: ci sono vini fantastici! Oggi gli italiani bevono e bevono sempre meglio, incluse le nuove generazioni, perché si punta a una qualità, sia da parte del produttore che del consumatore, che non è necessariamente collegata al costo della bottiglia. —
Leggerezza e condivisione: parole d’ordine di una nuova comunicazione enoica.
— Proprio per l’altissima qualità e varietà che offriamo, trovo che dovremmo migliorare dal punto di vista della comunicazione, un ambito in cui l’Italia è rimasta old style, vale a dire autoreferenziale, chiusa, mentre il mondo del vino è apertura mentale e condivisione. Ritengo che la comunicazione enoica debba avere un approccio più semplice di quello che abbiamo sempre avuto, un approccio che vada dritto al bicchiere e basato su pochi concetti, ma ben espressi per essere comprensibili a tutti, non solo agli addetti ai lavori. Ad esempio, far conoscere il vino attraverso l’enoturismo che consente un contatto con i paesaggi, con le persone, con le tradizioni, così come portarlo su mezzi di informazione quali i quotidiani sportivi o su piattaforme digitali.
Personalmente, oltre che per un talento riconosciuto sicuramente quale plus tecnico per chi fa il mio mestiere, credo di aver ottenuto negli anni il successo che ho non solo per il mio palato, ma anche perché pioniere di un approccio comunicativo che punta a rompere certi dogmi da sempre appartenenti alla critica e alla comunicazione enoiche, e a trasferire con leggerezza la consapevolezza, la cultura e il piacere del vino nel mondo. —
L’esposizione del vino: un’esperienza che dà valore.
— Anche nel nostro mondo l’immagine è importante. Se oggi fossi responsabile di un importante ristorante non esiterei a inserire nell’arredamento una grande vetrina espositiva per la carta dei vini che permetta di stratificare l’offerta tra bianchi, rossi e bollicine. Il cliente vuole vivere un’esperienza e questa parte dall’aspetto visivo, conoscitivo. È l’evoluzione: significa dare un servizio fondamentale per accrescere quell’esperienza di valore e offrire maggiore consapevolezza al cliente.
Conosco le vetrine CIAM, ne ho viste tantissime in azienda quando sono stato loro ospite e conosco il valore legato all’eleganza del design, alla varietà dei materiali. In questo caso, trovo che l’esposizione dei vini venga esaltata sicuramente dal design della vetrina, ma soprattutto dall’aspetto tecnologico che permette di garantire l’alta qualità del prodotto esposto, rappresentando un importante valore aggiunto a quello che si sta vendendo. Oggi, la gente desidera e richiede qualità estrema e le vetrine CIAM, con il loro design minimalista, trasparente, leggero, danno visibilità al prodotto elevando il vino stesso, oltre che offrire al cliente una degustazione a temperatura corretta, in quanto a livello tecnologico sono progettate per consentire una conservazione a differenti temperature a seconda che si tratti di bianchi, rossi e bollicine. Cosa che reputo fondamentale. —
La forza identitaria tra territorio ed etichetta.
— L’identità è tutto nel nostro mondo, e l’identità del vino la fanno il territorio, il vitigno, la filosofia del produttore e la riconoscibilità del prodotto. Che cosa vuol dire riconoscibilità? Vuol dire che quel vino deve essere territoriale, deve parlare delle sue origini e rispettarle, parlare del suo produttore, raccontare una storia che appartenga a una cultura, a un modo di vivere, a una filosofia, e anche in questo caso ritengo che l’immagine sia alla base dell’identità, per cui se parliamo di un racconto visivo parliamo anche di etichette.
Ovvio che nel nostro mondo l’obiettivo sia quello di creare un grande vino, ma se poi lo si veste con un’etichetta non adeguata avremo fatto un flop. L’etichetta di un vino, invece, deve saper arrivare agli occhi per la sua unicità, che personalmente trovo sempre più corrispondente al minimalismo, alla semplicità, all’essenza: un po’ come le vetrine CIAM che dietro un design minimalista nascondono un’alta tecnologia. L’etichetta, proprio come il vino che rappresenta, deve puntare alla sua forza identitaria e alla sua riconoscibilità, ma soprattutto deve saper conquistare. —