Corrado Assenza e il Caffè Sicilia di Noto.
L’arte dolciaria che parla di cultura e guarda al mondo.
Come i suoi dolci riempiono gli occhi e fanno esplodere il gusto, così le parole di Corrado Assenza riempiono le vene di chi si nutre di piccole e grandi storie vere, perché quando parla del Caffe Sicilia, un’attività famigliare nata a Noto centotrenta anni fa e oggi icona ed espressione di un’arte dolciaria riconosciuta in tutto il mondo, lo fa con passione, sapienza, umanità e umiltà. Parla con la calma di chi è abituato ad ascoltare piuttosto che a dire, racconta con l’esperienza di chi è abituato ad apprendere piuttosto che a insegnare. E se pensate che il successo di un nome come quello del Caffè Sicilia, che ha già attraversato la storia di quattro generazioni, abbia a che fare con la tradizione vi sbagliate, perché per Corrado Assenza la tradizione più significativa nella storia dell’uomo risiede nell’innovazione.
Il Caffè Sicilia di Noto è considerato il “sancta sanctorum” dell’antica arte dolciaria siciliana: ci spiega cosa c’è alla base del suo successo?
In realtà, quando si parla di noi si parla di arte dolciaria siciliana, mentre io preferirei si parlasse di arte dolciaria nella sua accezione siciliana. Perché, se il mondo è un libro la Sicilia rappresenta un capitolo; se il mondo è un’epistola la Sicilia è un comma, è una parte del tutto: non abbiamo bisogno di un ponte per essere collegati alla terra ferma. Usiamo il mare per navigare e al Caffè Sicilia lo facciamo da centotrenta anni e da cinque generazioni, l’ultima rappresentata da mio figlio che già lavora qui. Interpretando la propria contemporaneità in base all’epoca in cui è vissuta, o sta vivendo, ogni generazione ha dialogato con il mondo mettendo sempre al centro le persone e gli ingredienti. Siamo isolani, non isolati e creare ponti con altri territori e aprirci a culture diverse è parte del nostro successo ed è anche il segreto che rende contemporanei dolci che potremmo definire senza tempo come la cassata o i cannoli, che hanno più di mille anni di storia, ma che riescono a galleggiare e andare avanti in quanto interpretazioni di qualcuno che li rende attuali.
Uno sguardo e un approccio che potremmo definire quasi universali…
Nelle nostre vetrine CIAM coesistono ricette che hanno più di cento anni di storia e ricette nate ieri o che stanno per nascere, ma tutte ispirate dallo stesso sentire, ovvero produrre pasticceria che utilizzi le migliori materie prime che appartengono a questo territorio, ma non esclusivamente a questo. La nostra regola non è il chilometro zero ma il chilometro buono: facciamo tutti i chilometri necessari per avere gli ingredienti migliori che ci aiutino a rendere quotidianamente la dolcezza a maniera nostra. Una maniera non tradizionale: non siamo dei tradizionalisti, piuttosto pensiamo che la tradizione più importante della storia dell’uomo sia l’innovazione. Come dice mio figlio, per noi le cose vanno pensate e le pensiamo raccogliendo pensieri senza replicare quelli di altri. Ecco perché preferiamo parlare di cultura piuttosto che di tradizione, perché la cultura se ben usata è quello strumento che consente di smontare l’archetipo e di non confrontarsi con qualcosa che non ci appartiene in quanto arrivata dal passato come invece impone la tradizione. Noi ricominciamo dal foglio bianco, costruendo edifici, mettendo mattoncini e aggiungendo parole che vengono da nuovi elementi che abbiamo conosciuto o che a volte ci vengono suggerite dagli ingredienti stessi.
Ha citato le vetrine CIAM e immagino la stessa innovazione alla base della sua ricerca sia stato tra gli elementi di congiunzione con il brand che ha scelto per il progetto di rinnovo del Caffè Sicilia. Ce ne parla?
A livello architettonico e di arredamento non c’era l’esigenza di cambiare né di innovare, piuttosto quella di mantenere, di conservare. Ma la nostra conservazione non è contradditoria rispetto al nostro sentirci innovatori. In questo caso, l’esigenza emersa con l’architetto Corrado Papa, che ha curato tutti i lavori di ristrutturazione che hanno interessato l’intero edificio del Settecento nel centro storico di Noto in cui si trova il Caffè Sicilia, era quella di far sì che chi vi entrasse non si accorgesse nemmeno del cambiamento. Non avevamo bisogno di stravolgere nulla o stupire il cliente con effetti speciali, né di cambiare pelle, avevamo solo l’esigenza di rendere più luminosa e più elastica quella che già c’era. Eppure, sotto la pelle è cambiato tutto perché è arrivata la tecnologia degli anni Duemila, ed è arrivata CIAM, quindi sono arrivati i nuovi banchi a pozzetto per granite, le nuove vetrine MYA, i counters Compact, la nuova refrigerazione ad acqua, il controllo da remoto di tutta la tecnologia sia nel locale che nel laboratorio. E se mi chiede perché tutto questo in un caffè che ha centotrenta anni di storia le rispondo perché per noi le persone sono al centro e perché vogliamo offrire i nostri prodotti nelle migliori condizioni possibili a chiunque sceglie di venire qui – e per farlo affronta persino viaggi intercontinentali, a volte. Oggi, questo avviene grazie alla tecnologia che ci ha fornito CIAM.
Non solo innovazione tecnologica, il progetto ha riguardato anche l’aspetto conservativo degli arredi, come diceva, quindi i materiali, le finiture, le lavorazioni…
La collaborazione con CIAM è nata durante l’epoca del Covid, ci siamo conosciuti a distanza tra video chiamate e file di schizzi prima, e progetti esecutivi poi, inviati per e-mail. La prima volta che sono entrato fisicamente in azienda è stato per visionare il lavoro compiuto, prima che venisse smontato e preparato per la spedizione, e mi sono stupito di come tutti i capo reparto, dal vetro alla falegnameria, dalla refrigerazione alle vernici, volessero conoscere quel pazzo che aveva commissionato un arredo tanto complesso che in alcuni casi aveva richiesto lavorazioni scomparse da almeno quaranta anni. Senza entrare nei dettagli, hanno saputo replicare in modo autentico un arredo che ha spaziato da materiali come il marmo verde del Guatemala, il frassino, gli ottoni, i vetri, la radica di noce, e che ha richiesto grandi abilità tecniche e non solo. Addirittura, ricordo che il capo reparto della falegnameria mi ha ringraziato perché lavorare al progetto del Caffè Sicilia gli aveva permesso, poco prima di andare in pensione, di mostrare ai giovani falegnami, nuovi arrivati, la tecnica dell’intarsio che altrimenti non avrebbe mai avuto modo di far apprendere loro. Mi ha colpito molto l’aspetto umano che ho incontrato in CIAM.
Torniamo al dolce e parliamo di cioccolato. Come sta andando la nuova vita del cioccolato Lavarotti1938 che oggi crea per Fabio Fazio e Davide Petrini?
Questa nuova avventura è un altro viaggio, un ulteriore modo per trasporre la nostra esperienza in quella di qualcun altro, perché appartiene a Fabio, Davide e alle rispettive mogli: io mi sono limitato a dargli un’ispirazione, un’impostazione di fondo che seguiranno fino a quando vorranno. La mia è stata una trasposizione di idee per far comprendere loro le infinite possibilità che ci sono per essere reali e veri. Quindi, pensare: pensare per le persone e farlo come se pensassimo per noi stessi, magari scompaginando, rompendo le regole della consuetudine, che poi diventa tradizione, ma rimettendo al centro l’interesse per l’ingrediente. Se metti al centro l’interesse per l’ingrediente, in questo caso il cioccolato, e decidi che diventi un compagno di viaggio per raccontare l’Italia e il mediterraneo, allora anche tutti gli altri compagni di viaggio del cioccolato, gli ingredienti a cui lo abbini, devono essere alla sua altezza. E per farlo devi conoscere i luoghi, devi mettere al centro le persone che ti danno quegli ingredienti. Come io ho fatto con CIAM.
ph: Francesco Di Martino