Il minimalismo materico che guarda al futuro
Design di prodotto, direzione artistica e interior design: sono questi gli ambiti in cui opera lo Studio Irvine diretto dall’architetto Marialaura Irvine.
Uno studio la cui storia e la cui tradizione più che trentennali sono tali da porlo nell’Olimpo del design contemporaneo. Brand come Arper, Baleri Italia, Discipline, Matteo Brioni, Muji, MPlus, Phaidon, Thonet e molti altri lo hanno scelto per la ricerca meticolosa che pone nei confronti della materia e per la cura sartoriale e strategica dei suoi progetti. Oltre alle numerose collaborazioni attraverso le quali esprime la sua visione della creatività – chenon è arte -, dell’interior design e del design di prodotto – radicali nelle loro responsabilità e semplicità -, Marialaura Irvine è una professionista che lavora col Genius Loci, con la tradizione, le radici storiche e la materia per la quale nutre un rispetto quasi devoto. Ed è proprio attraverso la materia che è avvenuto l’incontro con Ciam. L’occasione è stata Table, il prodotto ideato da Fabrizio Milesi e presentato rivestito delle terre di Matteo Brioni per la prima volta a Milano durante il Fuorisalone 21, e oggi selezionato per concorrere nel corso del 2024 al XXVIII Compasso d’Oro. Un incontro, quello tra Studio Irvine e Ciam, da cui è nata anche la collaborazione per il progetto del ristorante D’amore, a Capri.
Marialaura, innanzitutto benvenuta su I AM Blog, uno spazio editoriale in cui si parla spesso di pasticceria, dolci, enogastronomia in genere, ma anche di design, per cui spero ti senta a tuo agio.
Anche gli architetti e i designer lavorano con le materie e si sporcano le mani: siamo come degli chef che creano meticolosamente un piatto in base agli ingredienti che hanno scelto con cura e rispetto, l’unica differenza è che noi trattiamo altri tipi di materie. Quindi si, mi sento molto a mio agio.
Che cosa lega la filosofia dello Studio Irvine a quella di un brand come Ciam?
Personalmente, considero ogni progetto una sfida nel cercare di creare innovazione, e Ciam in questo è un buon alleato di garanzia. Credo che quello che ci leghi sia proprio il senso della sfida, lo stesso pensiero e punto di ricerca che ci spingono ad andare oltre, verso l’ideazione e la realizzazione di progetti unici e spesso sartoriali. Ciam mi piace perché la sua tecnologia sofisticata è data per scontata, puoilavorare e nasconderla con le materie che più si adattano al progetto: l’innovazione, l’esperienza che ci sono dentro fanno sì che non ci si debba quasi preoccupare di questo aspetto. Il nostro incontro è avvenuto in modo indiretto: il tramite è stato Matteo Brioni, brand per il quale curo la direzione artistica da dieci anni. Le sue terre, le sue argille, frutto di una meticolosa ricerca sul nostro territorio, vengono scelte dai più importanti architetti al mondo per la loro tridimensionalità naturale e per la sostenibilità, valore che si dà quasi per scontato, un po’ come succede per la tecnologia Ciam. In questo caso, Fabrizio Milesi ha scelto le terre di Brioni come finiture di un prodotto davvero unico quale è Table, e il risultato che ci è stato mostrato ad Alcova credo sia stato proprio quello di una sfida vinta. Da quel momento, ho iniziato a notare che Ciam era presente nei ristoranti, nei caffè, nei locali più belli in cui entrassi, per cui non ho avuto dubbi quando si è trattato di coinvolgerla tra i partner tecnologici del progetto di rinnovo del ristorante D’Amore a Capri.
Un altro progetto che vede al centro i materiali naturali…
Alla base del rinnovo del ristorante D’Amore c’è stato il lavoro sul Genius Loci, la scelta di materiali ed elementi appartenenti alla realtà stessa del luogo. Mi sono lasciata ispirare da Capri, dalla sua natura, dai suoi colori, dai suoi materiali, dalle strade in cotto, dagli aghi di pino che cadono copiosi a terra. Da qui, ad esempio, l’idea di utilizzare il cotto per le pavimentazioni e quella di creare un legame naturale con i pini attraverso una grammatica di segni che va a definire, in quella che è a tutti gli effetti una pavimentazione personalizzata, un linguaggio comune allo spazio e all’elemento naturale che lo circonda. Quanto alla pura tecnologia Ciam, la sua fornitura ha coinvolto la Bakery e comprende il banco show cooking, rivestito di argilla e dotato di pianetto di lavoro in Lapitec Bianco Crema Vesuvio; il retrobanco è composto da un pensile Exclusive 74P per vini con dimensioni custom e finiture realizzate in RAL 9002 Grey White. Il banco bar comprende due basamenti Compact neutri con lamiere a vista in acciaio spazzolato, mentre il banco cassa è composto da due elementi neutri dotati di piano in Lapitec Bianco Crema Vesuvio. Un materiale, quest’ultimo, anch’esso naturale, in quanto è un ricomposto di minerali, e molto usato per i piani cottura e per i bar grazie alla sua resistenza. Insomma, il concetto alla base di questo lavoro è stato proprio quello di aprirsi al luogo attraverso le sue materie. L’unicità di questo studio ci ha permesso di raccontare il DNA del ristorante stesso, che lavora in cucina a chilometro zero, così come a chilometro zero è stata improntata la nostra ricerca sulle materie.
Prima abbiamo citato Alcova, uno degli spazi rivelazione delle ultime due edizioni del Fuorisalone: pensi che questo abbia ancora un ruolo determinante nell’offrire nuovi orizzonti al design?
Milano è atipica e unica in questa scelta di stare in fiera ed offrire contemporaneamente un programma “fuori” in grado di coinvolgere tutta la città. Sicuramente, la sua conformazione ad anelli concentrici, il fatto che sia piccola e la maggior parte degli showroom sia in centro la rendono speciale e facile da visitare. Altre città ci hanno provato, ma il fascino con cui Milano riesce ad aprire al pubblico spazi meravigliosi ed esclusivi, oltre che fuori dai tour abituali come ad esempio Alcova, credo sia unico e dia valore aggiunto all’evento. Anche per questo il Fuorisalone funziona e funzionerà sempre. È un’esperienza imperdibile e se le persone fanno la fila per entrare negli atelier e nei vari luoghi dedicati al design è si per conoscerne le novità e scoprire gli spazi, ma anche perché a quei momenti si affiancano esperienze di scambio e incontro. Durante la settimana del design, Milano si trasforma in un luogo magico e cose magiche possono accadere. Lo dico sempre ai giovani: vivere il Fuorisalone offre la possibilità di incontrare designer, aziende e visionari che possono cambiare i nostri approcci alla professione e alla ricerca.
E a proposito di design e visioni, come immagini il design del futuro?
Io sicuramente ho un’idea molto radicale, per quello che stiamo vivendo attualmente e per quello che abbiamo vissuto negli ultimi tre-quattro anni: un periodo breve ma che ha cancellato la visione precedente del design in base alla quale tutto era concesso e permesso. Credo in un design estremamente radicale fatto di semplicità delle componenti e del racconto. Guardo con estrema serietà e rispetto ai processi produttivi industriali, alla materia e alla sostenibilità, per ciò credo che oggi non si possa più sperimentare come è stato fatto negli anni Novanta, ad esempio, un periodo meraviglioso ma che si basava su valori lontani dagli attuali. In questo senso, un’altra priorità è ambire a progetti che siano senza tempo e sappiano guardare con serietà all’intero ciclo di vita del prodotto che stiamo realizzando. Scegliendo materie sostenibili come il legno, il sughero, i marmi, le terre, il cemento – che a dispetto di ciò che si crede è un materiale molto versatile e affascinante sia nell’interior che nel design di prodotto – ma anche lavorando sulla monomatericità, realizzando quindi prodotti che sono già materia per cui non richiedono una scomposizione in vista del loro smaltimento. Persino il decoro per me rappresenta un punto di arrivo e non di partenza e va inserito quale elemento funzionale alla struttura del prodotto. Che si parli di materiali e processi industriali o materiali naturali, tutto deve avere una logica sostenibile e di rispetto globale.