IAM 6: le parole di Andrea Margaritelli

Natura, uomo e macchina, nella riflessione del Presidente Istituto Nazionale di Architettura e Brand Manager Listone Giordano

Sappiamo che tra le caratteristiche dell’Uomo – specie dominante apparsa appena una manciata di migliaia di anni fa sulla faccia di un pianeta che di rivoluzioni attorno al Sole ne aveva già compiute alcuni miliardi – c’è la sua visione egocentrica, che a una coscienza di sé pigramente immutabile, oppone invece la trasformazione rapida e profonda di tutto ciò che è percepito come ambiente circostante.

Nel corso della nostra evoluzione abbiamo risposto via via alle sopravvenute necessità — di alimentazione, residenza, mobilità, interazione sociale — con conquiste scientifiche, tecnologiche e industriali, che ci hanno permesso di modificare grandemente il contesto esterno, rimanendo però quanto più possibile simili a noi stessi, cioè aderenti alla nostra primigenia fisionomia e natura.

Evitando accuratamente di valicare i confini — progressivamente allargati — della nostra comfort zone, abbiamo rifuggito ogni urgenza nell’affrontare cambiamenti nel nostro modo di pensare, sentire, agire. Ma oggi appare evidente che sarà invece proprio la rapida modifica di mentalità e comportamenti, molto più che l’imposizione di limiti normativi, il solo strumento efficace a fronteggiare la crisi climatica e i suoi effetti. Che non investono tanto il futuro del nostro pianeta quanto quello della sopravvivenza della nostra specie sul pianeta, che è questione ben più viva e cogente.

Dati incontrovertibili lampeggiano di fronte ai nostri occhi e lanciano un preciso segnale di allarme: appare sempre più concreta la prospettiva di assistere già nel corso del secolo attuale alla trasformazione di una parte consistente del globo — quella in cui oggi vivono oltre due miliardi di persone — a territorio inabitabile o comunque inospitale, con tutto ciò che ne potrà conseguire in termini di accesso alle risorse alimentari e nuovi flussi migratori ovvero di tensioni sociali e conflittualità. Per fronteggiare tale rischio, è richiesto un deciso cambio di rotta.

Occorre ridefinire cioè le nostre aspettative, la nostra idea di vita urbanizzata, le nostre consolidate abitudini di spostamento, di produzione e circolazione delle merci, il nostro modo di costruire, riscaldare e raffrescare, di alimentarci e di curarci.

Occorre riposizionare nell’immenso organigramma degli esseri viventi il ruolo dei vegetali e degli animali, o meglio, degli altri animali. E ricordare che non si tratta solo di riconnettere — attraverso la geniale torsione di un nastro di Mobius — le facce apparentemente contrapposte di Uomo e Natura, seguendo l’invito formulato già mezzo secolo fa da un artista visionario come Joseph Beuys. Bensì di riconoscere e gridare a gran voce, con la disinibita spontaneità del fanciullo, che in realtà il re è nudo e lo è sempre stato: esiste semplicemente la Natura, con l’Uomo dentro.

Ri-definire, ridesignare i limiti — ovvero ridisegnare — diventa in sostanza la mossa chiave, l’azione strategica da intraprendere per imboccare la via del cambiamento.